42° costanti tutto l’anno, malaria al 100% ed altre pesanti malattie endemiche come il morbo di Hansen (lebbra) e la dengue – oggi maggiormente diffuse a causa dell’aumento della temperatura e dell’intensità delle piogge e dell’umidità che favoriscono la riproduzione delle zanzare e la diffusione dei virus – ; un fiume come unica via di trasporto e piccoli villaggi di case su palafitte in una situazione di relativo isolamento a 2-3 giorni di navigazione in barca a motore da Lábrea-unica cittadina della regione; assenza di strutture sanitarie, scuole, energia elettrica; età media di vita 57 anni e condizioni di vita appesantite dalla contaminazione dell’acqua da mercurio (usato dagli estrattori d’oro) e dall’aumentata siccità della stagione secca che ostacola la navigabilità del fiume: è il Purús, la regione conosciuta come “l’inferno dell’Amazzonia”, attraversata dal Rio Purús, il “Rio das curvas”, nel Sud dell’Amazzonia brasiliana.
Nell’incontro alla Casa sul Pozzo e nel tempo trascorso con noi, la dottoressa Tony Lopez Gonzales, medico specializzato in malattie tropicali che da 33 anni vive su una barca-ospedale lungo il Rio Purús e tra le Comunità indigene rurali della regione, ci ha potuto parlare più approfonditamente della vita e della cultura di queste Comunità (vedi sotto), del suo lavoro di assistenza e prevenzione sanitaria in stretta collaborazione con un gruppo di persone native, e del più recente progetto della scuola, che sosterremo (e riprenderemo nella prossima lettera circolare).
Nel Purús (45.000 abitanti inclusi i residenti nell’area urbana di Labrea) vivono 5 distinti gruppi etnici: Jamamarì, Apurinà, Jaragura, Zuruhawà e Denì, che parlano 5 idiomi diversi, ma condividono i tratti principali di una cultura solida, identitaria delle popolazioni indigene della zona. Vivono in Comunità – 199 per lo più rurali – di dimensioni molto diverse (da 10 a 600 persone circa in ognuna), ma tutte con una/un Capo villaggio e una/o Sciamana/o (Xamã), per lo più donne in entrambi i ruoli ma senza differenze di genere nel ricoprirli. Vivono di pesca, il pesce è abbondante ma oggi in parte contaminato dal mercurio, coltivazione di frutta, in pochi villaggi manioca; non mangiano carne perché credono nella reincarnazione in un animale al momento della morte. Diversi uomini lavorano come seringueiros (estrattori di lattice per fabbricare la gomma dagli alberi della foresta), sfruttati dai “baroni” locali.
La vita di totale condivisione nella Comunità: condivisione di risorse, lavoro, iniziative, difficoltà, costituisce la forza di queste popolazioni e garantisce l’assenza di disuguaglianze e problemi sociali. Bambini abbandonati o anziani soli non esistono, perché la Comunità intera se ne fa carico. Così come non esistono problemi mentali poiché, nonostante le difficili condizioni di vita, sono tutti sereni: “Se farà um jeito” (“Si farà qualcosa”) è la frase spesso pronunciata di fronte a un nuovo problema. Oltre alla solidarietà tra le persone della Comunità, nella loro cultura valori fondamentali sono il legame con la terra e la famiglia. Non lasciano mai la loro terra (dove cordone ombelicale e placenta sono seppelliti al momento della nascita) e se per cause di forze maggiori ne sono costretti, si spostano con tutta la famiglia. Questo legame, che a volte si frappone alla necessità di trasferimenti per malattie altrimenti incurabili, nei giovani si è però fatto più flessibile per la prevalenza del desiderio di studiare, per essere in grado di interagire con le realtà urbane ed essere di maggiore aiuto nelle proprie Comunità.