“La persecuzione del popolo kurdo è tra le più annose, sanguinose e dimenticate al mondo. Si esercita quotidianamente nei diversi paesi e territori in cui, in base al Trattato di Losanna del 1923, è stato suddiviso il Kurdistan (Siria, Iraq, Iran, Turchia), sottraendo così al suo popolo il diritto di vivere in uno Stato libero e indipendente… La politica di strisciante genocidio portata avanti da Recep Tayyip Erdoğan è ancor più determinata, oltre che impunita, grazie all’indifferenza, ma anche alla complicità, dei governi occidentali…” (G.Tognoni e S.Segio, 20.07.23, link all’articolo a fine circolare).
Tramite la Rete Radié Resch di Alessandria, alcuni amici dell’Associazione “Verso il Kurdistan Odv” ci hanno inviato il report del loro viaggio nel nord-ovest dell’Iraq, a fine maggio scorso, per incontrare le popolazioni kurda ed ezida nella regione di Shengal, terra degli Ezidi, e nel campo rifugiati di Makhmour. Ne riportiamo una sintesi:
Le condizioni della popolazione sono alquanto precarie: ci sono persone che vivono in case, nelle tende e persone che non hanno né casa, né tenda. Ma non manca la tensione a reagire in positivo, a ricostruire la comunità. Questo a partire dalla costituzione delle unità di resistenza ezida, maschili e femminili, che hanno liberato la loro terra dall’invasione e dai massacri dell’ISIS del 2014-2015. Poi dall’istituzione dell’Autonomia Amministrativa di Shengal fondata sull’articolo 125 della Costituzione, che rappresenta una svolta rivoluzionaria in termini di autodeterminazione democratica della popolazione ezida. Il Consiglio dell’Autonomia è composto da 13 donne e da 13 uomini. Le donne partecipano, per la prima volta, da protagoniste. E non solo nelle unità di autodifesa, ma anche e soprattutto nelle attività sociali e politiche promosse dal Movimento per la Libertà delle donne ezide, Taje, costituito dopo il massacro dell’Isis per dare dignità e speranza all’indomani del dramma subito. Fino al 2014, la vita delle donne dipendeva per lo più dagli uomini, ma dopo essere state rapite, vendute e stuprate dall’ISIS, queste donne hanno deciso di imbracciare le armi per difendersi ed hanno liberato le donne prigioniere. Ma il genocidio continua perché a più di 100mila donne viene impedito di tornare a Shengal e vivono tuttora in tende in condizioni precarie nei campi profughi. A questo dramma si unisce quello dei bambini nati dalla violenza, scarsamente accettati dalla comunità. A supporto delle donne ezide è sorta la “Yazidi Women’s Support Association”, che dispone di un’accademia, di una scuola per ragazze dove s’insegna a leggere e a scrivere, e di una scuola di sartoria.
La delegazione italiana ha incontrato anche il Pade, il partito ezida della libertà e della democrazia nato nel 2016, dopo il genocidio, che risponde alle necessità della popolazione con l’obiettivo di fornire i servizi essenziali (strade, linee elettriche, ecc.) e diffondere la democrazia a livello di base. Tutti: Pade, Taje e Consiglio dell’Autonomia hanno chiesto che anche il Parlamento italiano riconosca il genocidio subito dal popolo ezida – che tra morti, sequestrati e profughi si è ridotto da 500mila a 250mila persone – come già hanno fatto l’ONU e i Parlamenti tedesco, olandese, belga e australiano.
Riconoscere non significa soltanto essere vicini alla popolazione ezida, ma anche valorizzare la dignità e la determinazione con le quali sta provando a costruire, a partire dalle macerie delle case, dei corpi e dell’anima, un futuro condiviso come comunità, in una parità di genere e nella forma di una democrazia autenticamente vissuta.
Per il testo sul genocidio e l’appello per il riconoscimento: consulta l’appello
Oggi l’autonomia di Shengel è fortemente minacciata dal governo iracheno e dal governo turco. La popolazione è sotto l’attacco continuo dei droni turchi che, entrando dalla Turchia (a un solo centinaio di km), bombardano quasi giornalmente i villaggi ezidi. Anche i 13mila profughi kurdi del campo di Makhmour, già sottoposti ad embargo totale imposto dal governo regionale, sono frequentemente sotto assedio da parte dell’esercito del governo centrale iracheno – come lo erano a fine maggio – intenzionato ad isolarli e privarli del diritto all’autodifesa.